La luna di Kiev Gianni Rodari la scrisse negli anni Cinquanta. Teneva allora una rubrica sull’Unità, quotidiano del Partito comunista italiano. Rodari era, dell’Unità, un giornalista e, del Pci, un militante.
La rubrica si chiamava Il libro dei perché, e il motivo è presto detto: i bambini e le bambine potevano chiedere allo scrittore tutto quello che passava loro per la testa. Perché l’arcobaleno esce quando piove? Perché i pesci non annegano? Perché si nasce? Perché quando esco di sera la luna mi viene dietro? Perché quando il gallo canta chiude gli occhi? Per tutte queste domande, Rodari, aveva una risposta.
Non perché sapesse tutto, o avesse deciso di interpretare quella professione di tuttologo che oggi va tanto di moda. No, proprio no. Rodari faceva così perché prendeva sul serio, molto sul serio, le domande dei bambini, tutte, anche quelle più strambe, anche quelle più difficili. Non esisteva la possibilità di liquidare una domanda con un secco: «perché è così», «perché lo dico io», o «che ne so».
Del resto, e questo Rodari lo pensava e lo scriveva spesso, l’adulto, per il bambino, deve essere come una scala che lo aiuta a salire verso un mondo misterioso, complicato, a volte spaventoso. Pieno zeppo di domande. Così Rodari, per rispondere ai tanti e diversi quesiti, chiedeva aiuto alla scienza, che lo interessava tanto, o alla fantasia, senza la quale nemmeno le scoperte scientifiche sarebbero mai state fatte.
Un giorno, il 17 maggio 1956, arrivò all’Unità una lettera scritta da una bambina di Kiev: non era un fatto strano. Rodari già a metà degli anni Cinquanta era tradotto in Unione sovietica e il suo Cipollino presto sarebbe diventato un vero eroe nazionale per i bambini nati negli anni della Seconda guerra mondiale.
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