Guardate gli uccelli del cielo: non seminano, né mietono, né ammassano nei granai;
eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non contate voi forse più di loro
Matteo 6,25
That’s why Rosa sat on the bus
Glory, John Legend ft. Common Music Video
Tutti dovrebbero andare a vedere Selma (Ava DuVernay, 2014), e non solo per la storia che racconta, la storia della battaglia dei neri americani per i diritti civili, ma per il modo in cui la racconta. Viene infatti scelto un episodio nella storia di un movimento, un singolo episodio, in grado di gettare luce sulle biografie dei suoi protagonisti, Martin Luther King per primo, ma anche di restituire senso a una delle più importanti questioni democratiche del XX secolo, oggi quasi dimenticata, ovvero quella della battaglia per il diritto di voto.
Un singolo episodio cruciale, nel quale precipitano gli anni della grande marcia per la fine della segregazione e si trasformano in un radicale progetto di rilettura complessiva della società americana, delle sue ingiustizie, delle sue immense contraddizioni, a partire dalla guerra del Vietnam, sfondo sempre presente nel film, anche se mai visivamente, tema che rende la figura di Lyndon Johnsonn al contempo, e senza bisogno di alcuna didascalia, sinistramente complessa seppur per molti versi eroica.
In questo senso Selma ricorda Lincoln di Stephen Spielberg, così come lo ricorda per la scelta di rappresentare la storia attraverso dialoghi nei quali, in modo nient’affatto scontato, vengono messi in evidenza tutti i nodi di una legislazione in apparenza democratica ma in realtà pensata per dissuadere i cittadini neri a desistere dall’iscriversi ai registri elettorali.
Battaglia sostanziale perché, come King spiega a Johnson nel film, senza il diritto di voto non si può neanche essere eletti e quindi far parte delle giurie incaricate di giudicare chi commette crimini di odio contro i cittadini neri.
Selma dunque e non Washington, marcia ben più nota ma dal valore più simbolico, Selma perchè fra il 1964 e il 1965 King affronta il nodo politico della segregazione e si interroga in modo sempre più radicale su quello economico e sociale, in questo avvicinandosi alle posizioni di Malcolm X, che appare nel film, poco prima di essere ucciso il 21 febbraio del 1965 a New York.
Selma è anche un film difficile, perché la storia che racconta non è nota, né agiografica, né consolatoria, ma complessa e contraddittoria, e necessita, per essere capita a pieno, oltre l’emozione, di una conoscenza della storia di cui parla. Su Martin Luther King e Malcolm X ho scritto qualche fa un documentario, (qui), montato splendidamente da Maria Grazia Pandolfo. Forse non avrei capito così bene la storia che viene raccontata in Selma se non avessi lavorato tanto alle loro biografie parallele, questo dunque vuole essere un vademecum per chi volesse approfondire quello che viene prima e quello che accadrà dopo quel terribile e meraviglioso marzo del 1965.
Facciamo un passo indietro. Omaha, stato del Nebraska: qui, nella provincia profonda di un’America rurale, bianca, protestante nasce, il 19 maggio del 1925, Malcolm Little. Suo padre è un pastore battista, seguace delle idee del predicatore Marcus Garvey, convinto che il posto dei neri sia l’Africa e non l’America. Sua madre ha nelle vene sangue bianco, frutto di una violenza sessuale. La sua pelle è più chiara, così quella di Malcolm, detto il rosso per il suo strano colore di capelli. Malcolm cresce cambiando continuamente casa, per le minacce continue rivolte ai suoi.
Vede morire gli zii, e poi suo padre per mano della Black Legion gruppo vicino al Ku Klux Klan. È il 1931: Malcolm ha sei anni. La madre non trova lavoro e la grande depressione peggiora ulteriormente la situazione familiare. Gli otto figli vengono presto dati in affidamento. La crisi economica degli anni Trenta fa da sfondo anche all’infanzia di Martin Luther King che nasce il 15 gennaio 1929, ad Atlanta Georgia.
Nella Black belt, la fascia nera, come sono chiamati gli stati del sud che dal Missisispi alla Lousiana hanno la più alta percentuale di popolazione afroamericana.Anche lui è figlio di un noto pastore battista, Martin Luther Sr., e di Alberta Williams, proveniente da una famiglia benestante di predicatori. La loro vita è scandita dai ritmi ordinati della comunità nera di Atlanta, migliori scuole, migliori posti in chiesa, un circolo di amici colti e ricchi. Martin Luther King non si renderà conto di vivere in un regime segregazionista fino a quando il suo migliore amico, un bambino bianco, non sarà iscritto in una scuola diversa dalla sua.
Secondo Bruno Cartosio: «La segregazione che conoscono Malcolm x e Martin Luther King è profondamente diversa. La prima, quella di Malcolm x, è la segregazione delle grandi città, delle metropoli del nord, dei ghetti metropolitani. La segregazione di Martin Luther King è quella del sud dove c’era stata a lungo la schiavitù e dove la schiavitù aveva depositato una separazione tra le razze che era contemporaneamente discriminazione, discriminazione violenta, ma anche una separazione che permetteva a quella società di conservare una sorta di ordine in cui ognuno stava al proprio posto».
Per Martin è uno shock prendere coscienza delle regole della separatezza: niente piscine, né cinema, tanto meno parchi pubblici nella sua infanzia. Sull’autobus dove i neri devono sedersi in fondo lui pensa «Adesso con la mente mi siedo sul sedile davanti. Uno di questi giorni anche il mio corpo andrà in quel posto dove adesso si trova la mia mente». Ma la società americana è in piena trasformazione, gli anni 40 vedono i cittadini neri americani alla ribalta. Dalle città la loro musica ha la potenza di un movimento intellettuale.
Nel 1943 Duke Ellington presenta alla Carnegie Hall di NY la sua opera Black, brown e beige, che inizia con The Star Spangled Banner, inno all’integrazione. E i neri che combattono nella seconda guerra mondiale sono tre milioni (qui, fra gli altri, il trailer di Inside Buffalo, film di Fred Kuwornu).
Malcolm è in una casa di correzione per i continui furti, gli episodi di bullismo, che lo portano in tribunale per la prima volta. Ha solo tredici anni. Tuttavia l’intelligenza acuta gli consente di evitare il riformatorio e di tornare a scuola. La classe è mista: bianchi e neri, con insegnanti razzisti, dai toni paternalistici. Malcolm vorrebbe diventare avvocato, ma il suo professore di inglese gli consiglia di essere realista. Magari potrebbe fare il falegname. Malcolm decide di andare a vivere dalla sorella Ella a Boston, per poi trasferirsi ad Harlem, New York. Harlem non è più la Parigi nera degli anni venti.
Resiste solo la musica. Il be bop nasce in questo clima violento, come dirà il poeta Langston Hughes, è il suono delle manganellate della polizia sulle teste nere. Ad Harlem, Malcolm conosce la droga, la prostituzione e la violenza. Malcolm Little passa dieci anni dentro e fuori dal carcere. E in prigione diventa seguace di Elijah Muhammad, leader della Nation of Islam. Secondo Paolo Naso: «La Nation of Islam è un’organizzazione politico-religiosa che costituiva, almeno al suo sorgere, una sorta di eresia dell’Islam, nel senso che predicava un Islam di colore, un Islam afro-americano, esclusivamente riservato agli afro-americani, e in particolare proprio per questo aveva una grande capacità di attrazione all’interno della popolazione nera, nei suoi strati più esposti, più poveri, più emarginati. In particolare la Nation of Islam aveva un’importanza significativa nell’ambito delle carceri, dove esercitava un vero e proprio proselitismo. In questo senso fu un soggetto importante, certamente un soggetto chiuso, un soggetto in qualche modo legato a un’idea razzista all’incontrario dello sviluppo sociale, ma certamente capace di emancipare delle persone la cui vita era una vita di disperazione, una vita di strada, una vita di grandi stenti».
In quegli stessi anni King si iscrive alla facoltà di teologia dell’Università di Boston. Studia la storia e la sociologia, ma più di tutto si appassiona alla filosofia avvicinandosi a quello che per lui è il più grande pensatore del 900: Mohandas Karamchand Gandhi, detto il Mahatma. Boicottare il regime degli oppressori, senza violenza, opponendo soltanto la propria dignità di esseri umani: per King è una lezione radicale, che cambierà la sua vita per sempre. A Boston decide di diventare pastore battista come suo padre. A Boston incontra una giovane studentessa di musica, Coretta Scott, che, come Martin, ha deciso di cercare al nord quelle opportunità di vita e di lavoro impossibili in Alabama, suo stato di origine. Si sposeranno l’anno dopo. Ma la loro vita è a una svolta: Martin Luther King viene chiamato come pastore nella chiesa battista di Dexter Avenue a Montgomery, Alabama.
Il ritorno al sud dopo anni a Boston è molto duro: la segregazione e il razzismo sono pane quotidiano, e quella felicità, promessa ai liberi cittadini americani dalla stessa dichiarazione di indipendenza, per i neri è solo un’illusione. In gioco il diritto al lavoro, allo studio. Malgrado nel maggio del 1954 la Corte suprema abbia dichiarato illegittimo il segregazionismo nelle scuole ancora nel 1962 la domanda di ammissione all’Università del Mississippi di James Meredith provocherà una rivolta razziale. Martin affianca la lotta e fonda la sua associazione la Christian Leadership Conference.
1955. La battaglia di Montgomery. 1 dicembre: Rosa Parks, commessa di Montgomery, Alabama, si rifiuta di cedere il suo posto sull’autobus a un bianco e viene arrestata. E’ la goccia che fa traboccare il vaso. Il linciaggio e l’omicidio di Emmett Till, un bambino di Chicago in vacanza al sud, colpevole di aver fischiato a una donna bianca, ha scosso nel profondo gli afroamericani. Inizia un anno di movimento: gli autobus segregati vengono boicottati, gli afroamericani organizzano il proprio trasporto o vanno a piedi. E King si trova, suo malgrado, a diventare un leader nazionale. King è pronto ed ha in mente una strategia, inedita e rivoluzionaria: la non violenza, come metodo per combattere l’ingiustizia. E la battaglia si rivelerà vincente: il 13 novembre 1956 la Corte suprema dichiarerà che la segregazione sugli autobus è illegale. Malcolm Little intanto guarda da lontano il movimento che sta nascendo in Alabama: la distanza geografica misura lo spazio che separa le posizioni dei due leader neri. Per Malcolm, Martin è uno zio Tom, nomignolo che i neri del nord danno a chi è considerato troppo accomodante con le istituzioni bianche, figura letteraria e che deriva dal famosissimo e diffusissimo libro scritto da Harriet Beecher Stowe, pubblicato nel 1852, e che era in sostanza una denuncia del sistema schiavistico in nome degli ideali morali dell’uguaglianza degli uomini. Lo “Zio Tom” nello stereotipo è il nero rinunciatario, accondiscendente, servile, mentre invece lo “Zio Tom” del romanzo è una figura in sostanza estremamente dignitosa, umana, e appunto capace di grossi sacrifici in nome di una morale e di un’idea di bene generale che lo rende una figura in realtà ammirevole. Sempre più convinto delle posizioni dei Black Muslims, Malcolm matura l’idea che neri e bianchi non debbano cercare compromessi. La lotta di liberazione dei neri è solo nelle loro mani. E arriva a rifiutare il proprio nome, perché nome da schiavo.
Elijah Muhammad, lo nomina ministro del tempio di Boston, e gli affida la Moschea n. 7 a Harlem: le sue prediche sono sempre più seguite, e il consenso che riscuote fra i neri dei ghetti è superiore a quello dello stesso Muhammad. Grazie a lui la Nation of Islam passa da 300 a 30.000 iscritti. Anche il movimento intellettuale nero è spaccato in due: nelle grandi città del nord il razzismo genera una segregazione più feroce perché nascosta. Cosa può significare la non violenza per chi non conosce altro che emarginazione e miseria?. Malcolm parla di questo ai cats in the street, i ragazzi di strada: le sue parole sono le loro, la sua lingua è la loro. Come ha scritto Bruno Cartosio: «I “Cats in the street” a cui si rivolge Malcolm x sono i ragazzi del ghetto, cioè sono quei ragazzi in parte lavoratori e in parte lavoratori potenziali o disoccupati, che vivono e riempiono le strade dei ghetti metropolitani e che sono pieni di rabbia. Sono quelle figure sostanzialmente di neri marginali che caratterizzano il ghetto e che tuttavia Malcolm cerca di recuperare, di portare alla consapevolezza politica, alla consapevolezza della vita che conducono e dell’ambiente nel quale si muovono e delle ragioni che hanno creato quella vita, quell’ambiente e quella loro marginalità sociale». Malcolm si sposa con Betty X a Lansing, nel Michigan.
Con lei avrà sei figlie. Ad una trasformazione personale seguirà anche un rinnovamento delle sue convinzioni: in questi anni Malcolm guarda all’Africa con occhi nuovi perché, anche lì, i tempi stanno cambiando. La decolonizzazione, che inizia in sostanza intorno agli anni ’50, e che ha poi nel Ghana la sua prima realizzazione nel ’57, è un processo di straordinaria importanza, più per Malcolm x inizialmente che per Martin Luther King. Per Malcolm x perché vede nel processo di decolonizzazione e nell’idea di un’Africa unita e libera dai vincoli della colonizzazione, la possibilità di ricreare una solidarietà, non un’unità, ma una solidarietà tra neri afro-americani e neri africani che permetta di creare delle alleanze anche per esempio nelle Nazioni Unite. Ma è il reverendo King ad essere invitato alla cerimonia di insediamento del primo governo indipendente in Africa, quello di Nkrumah, in Ghana, ex Costa d’oro britannica. Lì incontra il vicepresidente Nixon per la prima volta. Nixon Dice: «Ah, dottor King, che piacere vederla». E King impassibile risponde: «Sì, signor vicepresidente, a me farebbe più piacere incontrarla alla Casa Bianca piuttosto che in Ghana». Indicativo di un modo di essere di King ma anche di un modo di essere dell’amministrazione americana, pronta a tributare omaggio al personaggio in Ghana ma non disponibile ad aprire un tavolo politico di negoziato sui temi della desegregazione appunto negli Stati Uniti.
Alla fine degli anni Cinquanta la società americana vive una nuova età dell’oro, il candidato alla casa bianca Kennedy inserisce la campagna dei diritti civili come uno dei punti del suo programma. Il reverendo King però è scettico: non solo Kennedy è un cattolico, ma Nixon, candidato repubblicano si è mostrato disponibile a venire incontro al movimento dei diritti civili. Del resto il candidato John F. Kennedy non è privo di ambiguità. Il suo voto al Senato ha infatti in più di un occasione compromesso la reale efficacia delle leggi antisegregazioniste. Inoltre, tra i sostenitori di Kennedy si annoverano segregazionisti come il senatore John McClellan e il Governatore del Mississippi James Coleman. In effetti è la prima volta che una cosa del genere accade nella storia americana: due leader neri diventano interlocutori riconosciuti anche di bianchi. La loro influenza non è più soltanto morale, ma anche politica. Per questo Malcolm e Martin iniziano ad essere tenuti sotto stretto controllo dall’FBI, come si vede chiaramente anche nel filmSelma.
«Il controllo dell’FBI nei confronti di Malcolm X e di Martin Luther King è stato pesantissimo e continuo ed è iniziato molto presto nella carriera di tutti e due questi leader, – ha scritto Bruno Cartosio- Non è stato sempre noto a loro stessi e a chi li accompagnava, chi li seguiva. E tuttavia è diventato molto chiaramente noto dopo la loro morte. È stato pesante nel senso che le loro figure sono rientrate in programmai dell’FBI il cui obiettivo era quello di impedire, come diceva un memorandum della stessa FBI, impedire il sorgere di un messia nero che potesse guidare il popolo afro-americano verso la liberazione. E sia l’uno sia l’altro hanno avuto in momenti diversi e in modi diversi le caratteristiche del grande leader, cioè del messia nero, che per le sue capacità personali, per le capacità organizzative, per il carisma di cui era dotato, poteva diventare un leader di tutta la popolazione nera».
Le manifestazioni d’odio nei loro confronti crescono. Le case di entrambi subiscono attentati dinamitardi. King viene infatti pugnalato ad Harlem nel 1958, dopo che Malcolm ha pronunciato un discorso infuocato sull’inutilità della non violenza. Malcolm si trova al centro di numerose minacce di morte e attentati alla sua casa. Alla fine del 1962 le violenze nel sud continuano. Il reverendo King non molla. I neri infatti non riescono a iscriversi alle liste di voto e ad avere rappresentanti da eleggere. Albany in Georgia diventa il cuore della protesta, poi Birmingham, uno dei pochi centri industriali della black belt, retta con pugno di ferro dalla polizia federale controllata da Eugene Connor, detto The Bull, il toro. Il locale Ku Klux Klan gode dell’appoggio del governatore dello stato George Wallace che manda la polizia a picchiare i manifestanti inermi. Vengono usati cani, idranti, una violenza manifesta che finisce sulle prime pagine dei più importanti giornali diventando una questione nazionale.
Kennedy è costretto a intervenire: lo stato federale deve accettare la legge nazionale. La segregazione è incostituzionale, e l’esercito è mandato a controllare la polizia. Le città del nord si mobilitano. Il cantante Harry Belafonte a New York mette in piedi un comitato di sostegno per pagare le cauzioni dei continui arresti degli attivisti, soprattutto del reverendo King. Malcolm X intanto, continua a mobilitare i neri del nord urbano in nome dell’Islam, ma i suoi discorsi sono sempre più politici e meno religiosi. Capisce che qualcosa nella strategia dei Black Muslims deve cambiare. E inizia a maturare il distacco dal Nation of Islam anche perché la sua crescente popolarità suscita gelosie fra gli stessi membri del gruppo: Malcolm è diventato adesso il numero due.
1963. La marcia su Washington. Si apre un anno cruciale per la storia americana e non solo per i suoi cittadini neri. Le violenze sugli afro americani aumentano, le foto delle donne picchiate nella città di Birmingham fanno il giro del mondo. Una madre e un bambino, un fast food in un centro commerciale. Come spiegare al proprio figlio che lui, nero, può entrare in ogni negozio ma non può sedersi e consumare un pasto vicino a un bianco. Condividere la stessa tavola indipendentemente dal colore della pelle. King capisce che è questo è il prossimo obbiettivo. Adesso è pastore ad Atalanta, nella chiesa Ebenezer che era stata di suo padre. Kennedy di nuovo è costretto a inviare l’esercito per presidiare ristoranti e fast food. Ma non è solo la legge scritta del sud ad essere messa sotto accusa: sono anche le palesi manifestazioni di razzismo nelle grandi città del nord. Quelle dell’America che ha combattuto per la fine della schiavitù. Harri Belafonte dirà «A NY posso dormire al Plaza o in un ghetto perché nessuno mi affitterebbe mai un appartamento».
Le giornate dei due leader si assomigliano molto: sono scandite da prediche, incontri, manifestazioni. Martin Luther King, però, è più spesso in carcere che fuori. La protesta ormai non è più solo dei neri. Ma di tutti i cittadini democratici degli Stati Uniti d’America. E’ tempo di contarsi. Una scommessa da vincere ad ogni costo. Così il 28 agosto del 1963 250.000 persone marciano su Washington. Neri e bianchi, uomini e donne. E’ la marcia più imponente che la storia americana abbia mai conosciuto. Di fronte alla statua del presidente Lincoln, ucciso dopo aver firmato l’emendamento che eliminava la schiavitù, King pronuncia il suo discorso più noto. Malcolm X non partecipa e commenterà in modo secco Perché manifestare davanti a un presidente bianco che in vita non ci sopportava? In realtà le sue posizioni si stanno avvicinando sempre di più a quelle del reverendo King. E il distacco dalla Nation sta maturando. Elijah Muhammad viene accusato di violenza sessuale e adulterio. Le critiche di Malcolm vengono messe a tacere. A Philadelphia il vecchio leader abbraccia l’erede pubblicamente e dice “Questo è il mio pastore più fedele e quello che lavora di più: mi seguirà fino alla morte”. Ma non sarà così.
La sensazione di vittoria che segue alla marcia di Washington dura un attimo: a Birmingham vengono uccisi due ragazzi e 4 bambine nell’attentato a una chiesa. A questo episodio fa riferimento Selma al suo inizio. E’ un’ escalation. La società statunitense, dietro l’apparenza di un benessere senza problemi, cova violenza e rancore. E la violenza colpisce al cuore lo Stato stesso, il 22 novembre a Dallas: John Fitzgerald Kennedy è colpito a morte. La nazione è percorsa da un sentimento di sconcerto, paura, indignazione. Malcolm X commenterà: E’ la violenza a essersi rivolta contro. Commento infelice, al punto che la Nation of Islam lo userà come pretesto per metterlo a tacere per tre mesi. Niente apparizioni pubbliche, nessuna predica nella Moschea numero 7 di Chicago, la sua. King è spaventato, la marcia di Washington sembra ormai lontana anni luce. Si sente fragile, come le conquiste fatte, e decide di muovere ancora più a sud. Alle radici dell’odio, in Mississippi.
Su questo passaggio, che poi è il cuore di Selma, vale la pena riprendere le parole di Paolo Naso: «Ed ecco che allora tra appunto il ’64 e il ’65 King e altri settori del movimento per i diritti civili iniziano a praticare la desegregazione, di fatto riconosciuta per legge ma non applicata. Per cui gli autobus restavano segregati, i ristoranti, i bar restavano segregati. Ed ecco che allora alcune strutture molto vicine a King, penso soprattutto agli studenti, iniziano a praticare la desegregazione. La reazione del sud razzista e già schiavista a questa pratica della desegregazione fu violentissima. Gli autobus nei quali viaggiavano bianchi e neri insieme subirono degli attentati. Le persone che andavano non soltanto nel Mississippi ma anche nell’Alabama, nel Tennessee, insieme, intenzionalmente bianchi e neri a ordinare una birra venivano fatte oltraggio, venivano oltraggiati, venivano attaccati, e venivano anche fatti oggetto i violenza (qui un bellissimo documento su un ristorante segregazionista).
Si rischiarono costantemente attentati mortali contro queste dimostrazioni. Quindi direi che fu una fase nuova e delicatissima del movimento. Quella della quale si cercava di trasformare una legge in pratica sociale e soprattutto nel sud». Dopo l’omicidio di Kennedy il democratico Lyndon Johnson è il nuovo presidente degli Stati Uniti: lancia il programma della Grande società. La questione dei diritti civili, dice, è centrale. E’ arrivato il momento di schierarsi politicamente: King prende posizione sulla politica nazionale e appoggia Johnson. Schierarsi è una questione di vita o di morte per il movimento dei diritti civili perché intanto le città stanno esplodendo. Nel 1964 inizia la prima rivolta di un ghetto metropolitano ad Harlem, a New York. Tra il ’64 e il ’68 si succederanno le cosiddette “estati calde”. E quindi cambiano i protagonisti. Perché le lotte non sono più non-violente come quelle egemonizzate da Martin Luther King e dai pastori protestanti, ma sono egemonizzate da Malcolm X, o da altri leader che crescono in questa nuova stagione, come Stokely Carmichael.
1964. Con ogni mezzo necessario: l’ultima battaglia di Malcolm X. Febbraio 1964: Cassius Clay, Mohammed Ali, si prepara a combattere contro il campione del mondo Liston. Per Malcolm X è la sfida fra la vera religione, quella musulmana e la religione dei bianchi. In realtà l’incontro tra i due campioni è per Malcolm X una buona scusa per allontanarsi da Harlem dove sente l’odio dei suoi ex compagni sempre più tangibile. Malcolm X intanto sta maturando una vera e propria politica estera. L’8 marzo dello stesso anno lascia il Nation Of Islam e fonda il movimento Muslim Mosque. Compie, aiutato ancora una volta dalla sorella Ella, un pellegrinaggio in Egitto e poi in Arabia Saudita dove viene ricevuto come un politico ufficiale.
Dice Bruno Cartosio: «E arriva alla Mecca da musulmano nero con dei dubbi, arriva alla Mecca, fa il suo pellegrinaggio alla Mecca, verifica che i musulmani presenti nel pellegrinaggio sono musulmani di tutti i colori. E quindi capisce che le favole raccontate da Elijah Muhammad erano improvvisate ed erano fantasie legate a una situazione particolare e quindi modifica radicalmente, a partire da quel momento, il suo atteggiamento nei confronti sia dei suoi rapporti con i possibili interlocutori bianchi sia il rapporto con l’Islam». Al ritorno pronuncia il suo discorso più importante, quello sui diritti umani dove cade ogni distinzione fra bianchi e neri. In seguito a questo cambiamento di prospettiva crea l’Organizzazione per l’unità Africana.
La stampa americana non lo considera più soltanto un estremista e segue con attenzione la sua attività. La rivista Life esce con la copertina dedicata a Malcolm X: lui dietro una finestra con una carabina e la scritta:Con ogni mezzo necessario. Intanto il 2 luglio 1964 il presidente Johnson firma il Civil Rights Act. In questo periodo difficile Martin e Malcolm si incontrano per la prima e unica volta nella loro vita. Erano molto attenti in realtà a non incontrarsi, a evitare le occasioni di incontro perché sapevano che l’uno e l’altro erano propositori di linee strategiche molto diverse e non conciliabili. In realtà sarebbero state poi conciliabili negli anni tardi, diciamo così, di Martin Luther King e negli anni tardi di Malcolm x. Però agli anni tardi ci sono arrivati soltanto per un attimo.
La vita di Martin Luther King sta per conoscere una svolta: nel dicembre del 1964 infatti gli viene assegnato il premio Nobel per la pace, che è anche il momento in cui inizia il film Selma. Perché? Perché da ora, dopo il confronto con il welfare svedese, King indirizza tutte le sue energie nella lotta alla povertà convinto che il problema sociale negli USA sia alla base del problema razziale. Dirà: La nostra patria è l’america, in America vivono 25 milioni di neri questa è casa nostra l’africa è la casa dei nostri padri. Ma questi neri sono poveri. Il Vietnam intanto distrae le coscienze degli americani: chi si accontenta della marcia su Washington può credere che il problema razziale sia in fondo risolto. A riportare dunque all’attenzione dell’opinione pubblica e della stampa sulla questione nera c’è bisogno di un vero shock.
Il 21 febbraio del 1965 si annuncia come una giornata chiara e tiepida. Malcolm X deve tenere una conferenza a New York. Chiede alla moglie di restare a casa con le bambine ma non viene ascoltato. La sua voce nella sala affollata dell’Audobum Ballroom, Harlem, risuona forte. Poi qualcuno grida. La confusione quasi nasconde gli spari che uccidono Malcolm X sotto lo sguardo impotente della sua famiglia. Per il suo assassinio vengono arrestati tre membri della Nation of Islam. Sostiene Paolo Naso: «Malcolm x viene ucciso perché si distingue rispetto alla sua organizzazione di provenienza, la Nation of Islam, e respingerà l’idea settaria di una comunità afro-americana che lotta da sola contro la società dei bianchi, che vuole opporsi alla società dei bianchi. E quindi sarà proprio all’interno della Nation of Islam, dei suoi antichi amici e fratelli che nascerà la pratica, l’idea di isolarlo prima e alla fine di eliminarlo fisicamente». Martin Luther King sa bene che il Black power invocato da Malcolm non può essere soffocato nel sangue. «It is necessary to understand that Black Power is a cry of disappointment. The Black Power slogan did not spring full grown from the head of some philosophical Zeus. It was born from the wounds of despair and disappointment. It is a cry of daily hurt and persistent pain»1.
Ed eccoci finalmente a Selma. La marcia per la pace da Selma a Montgomery è una risposta alle discriminazioni che i neri del Mississippi continuano a subire. Il 7 marzo del 1965 è ricordato come Bloody Sunday, la domenica di sangue. I manifestanti vengono ancora una volta caricati e brutalmente picchiati. Il reverendo King è scettico e preoccupato. Invece di denunciare il clima di paura che si respira nel sud i giornali calcano la mano sulle divisioni del movimento afroamericano: il problema, a loro dire, è lo slogan.Black power o Freedom now. King sa bene invece che dividere il movimento è controproducente per tutti perché adesso è il momento della battaglia più grande, quella contro la povertà. Ancora Paolo Naso: «È un obiettivo difficilmente raggiungibile, perché l’America ha una struttura di potere centrata sul sistema della segregazione razziale, quindi per finire con la segregazione, per superare la segregazione bisogna cambiare questa struttura di potere. E quindi in un certo senso l’ultimo King è un pochino meno ingenuo del primo King. Il primo King è quello del sogno americano, un sogno di libertà, di giustizia che consente addirittura di perseguire l’obiettivo della felicità individuale e collettiva. L’ultimo King parla sì del sogno ma è consapevole anche dell’incubo, dell’incubo di una società che non riesce a trovare un meccanismo di integrazione, di una società che al suo interno ha una quota consistente di poveri, di una società che investe più nel sistema della difesa e della guerra in Vietnam che per sanare i ghetti che iniziano ad esplodere. In questo senso l’ultimo King oltre che più radicale, oltre che meno ingenuo, è anche un King fortemente preoccupato, più preoccupato per i destini finali di quell’America che peraltro non ha mai smesso di amare».
Ora, dopo la morte di Malcolm X, King è sempre più convinto che la questione nera vada combattuta a nord più che a sud. Si trasferisce a Chicago negli slums e si rende conto di una cosa. Manifestare, pacificamente, attorniati dall’ira di 100 persone bianche abituate al segregazionismo può essere difficile. Ma conservare lo stesso spirito in mezzo a 100.000 persone disposte a ucciderti è davvero impossibile. Parlare di non violenza in questo caso è come gridare controvento. Ma non per questo smette di farlo. Così ancora una volta da Chicago, nel 1966, è fra i promotori della marcia per la libertà che vede uniti, per la prima volta tutti i leader neri.
In gioco per MLK c’è l’idea stessa di integrazione e collaborazione con i bianchi. Ma il reverendo King non è più l’eroe dell’america bianca progressista, le sue posizioni contro il Vietnam lo avvicinano troppo alle posizioni politiche più radicali. «Alla fine Martin Luther King diventa Martin Looser King, il perdente», sostiene ancora una volta paolo Naso. «E in particolare diventa Looser King, il perdente, quando non si limita semplicemente a denunziare le condizioni di difficoltà, di emarginazione, di segregazione degli afro-americani. Ma quando capisce che l’america ha bisogno di una ristrutturazione, che c’è bisogno di una riorganizzazione sociale del sistema americano che produce povertà, che produce razzismo, che produce militarismo. Tutto questo è troppo per l’establishment, è troppo anche per quei moderati bianchi che avevano sostenuto il movimento per i diritti civili. Per giunta nel ’67 attacca frontalmente la filosofia politica e la pratica dell’intervento militare americano in Vietnam. Dirà è un fallimento morale, oltre che militare. A quel punto King è davvero solo. Questo è la premessa del suo omicidio».
La non violenza diventa sinonimo di impotenza mentre l’America continua a bruciare: la lunga estate calda del 1967 vede esplodere Newark, Detroit e altre cento città. Il 3 aprile del 1968 King tiene il suo ultimo discorso. È a Memphis, in Tennessee, invitato dagli spazzini della città in sciopero. Qual è il senso di questa presenza di un grande leader riconosciuto internazionalmente per una vertenza di spazzini. Semplicemente il fatto che questi spazzini, bianchi e neri, venivano pagati in modo discontinuo, venivano sottopagati, o non venivano pagati affatto quando pioveva. Ma la battaglia per i diritti civili, per i diritti dei neri ma anche dei bianchi poveri viene spezzata da tre colpi di pistola. Martin Luther King ha 39 anni, la stessa età di Malcolm X al momento del suo assassinio. Nel suo ultimo discorso ha detto: «Anch’io, come tutti, vorrei vivere una lunga vita…ma non è a questo che penso ora, perché io voglio fare la volontà di Dio. E Dio mi ha permesso di raggiungere la cima della montagna. E dalla montagna io ho guardato ed ho visto la terra promessa. Forse io non la potrò raggiungere insieme a voi. Ma voglio che voi sappiate che noi, come popolo, raggiungeremo la terra promessa».
(l’articolo è uscito su minima&moralia)