Fin dall’inizio, fin dagli anni Sessanta del secolo XIX il racconto dell’Italia unita si è andato costruendo su immagini. Fotografie, dipinti, “tabelloni di scena” usati dai cantastorie che andavano narrando le gesta degli eroi risorgimentali nei villaggi più sperduti della penisola, il racconto per immagini ha rappresentato per gli strati più poveri e soprattutto per gli analfabeti italiani il primo e a lungo l’unico strumento per accedere a quell’immaginario dell’Italia unita che, del “fare gli italiani”, è stato uno dei motori determinanti.
Questo racconto per immagini è stato ripreso e modificato dalle illustrazioni dei libri di testo scolastici dell’Italia liberale; rielaborato dai primi periodici a tiratura nazionale come «L’illustrazione italiana» e «La domenica del Corriere». Durante la prima guerra mondiale il racconto per immagini è stato il protagonista della prima grande campagna di mobilitazione della nazione, per tenere compatto il fronte interno.
Il fascismo ha saputo poi piegare la potenza delle immagini, ora diventate cinema, nella sua “arma più forte”. E l’Italia post-bellica, grazie alla televisione, alla RAI, nata nel 1954, ha saputo ridisegnare la mappa di un immaginario piegato dal fascismo, in venti anni di dittatura, trasformandolo in una grande fabbrica dell’identità repubblicana.
E’ evidente che le immagini, da sole, non sono state sufficienti a mettere in moto quel meccanismo di nazionalizzazione delle masse che ha “fatto gli italiani” nell’arco di alcuni decenni. Ma il meccanismo di appropriazione di un immaginario condiviso, ha segnato in momenti cruciali della storia d’Italia, quel processo di identificazione con la nazione che è stato fondamentale, in questi lunghi 150 anni, per dirsi italiani.