Un sasso gettato in uno stagno suscita onde concentriche che si allargano sulla sua superficie, coinvolgendo nel loro moto, a distanze diverse, con diversi effetti, la ninfea e la canna, la barchetta di carta e il galleggiante del pescatore. Non diversamente una parola, gettata nella mente a caso, produce onde di superficie e di profondità, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni e immagini, analogie e ricordi, significati e sogni”. Così inizia uno dei più celebri fra i libri di Gianni Rodari, la Grammatica della fantasia. Un testo tanto citato quanto poco letto, soprattutto da chi, ancora oggi, lo considera l’inizio della fine dell’insegnamento della grammatica nella scuola italiana, a partire da una lettura frettolosa del titolo (sarebbe come pensare che le Lezioni americane di Italo Calvino sono un corso di inglese o Delitto e castigo di Dostoevskij un manuale di procedura penale).
Così, del resto, spesso accade ai classici, di essere fraintesi e citati a vanvera. Ma se poco è conosciuto il suo contenuto, ancor meno lo sono le origini. Rodari, infatti, mette insieme i testi che comporranno il volume durante una settimana di formazione agli insegnanti e al personale scolastico del comune di Reggio Emilia, invitato da quel Loris Malaguzzi, il cui modello scolastico “Reggio oriented” è oggi, nel mondo, tanto famoso (e ricercato) quanto quello di Maria Montessori.
Fra il 6 e il 10 marzo del 1972, esattamente cinquant’anni fa, Gianni Rodari tiene a Reggio Emilia una serie di incontri che vengono pubblicizzati come “Incontri con la fantastica”.
Rodari stesso si dice sorpreso di aver trovato Reggio Emilia tappezzata da questi manifesti che promettono qualcosa che Rodari sognava da tempo, la “possibilità di ragionare a lungo e sistematicamente, con il controllo costante della discussione e della sperimentazione, non solo sulla funzione dell’immaginazione e sulle tecniche per stimolarla, ma sul modo di comunicare a tutti quelle tecniche, per esempio di farne uno strumento per l’educazione linguistica (ma non soltanto…) dei bambini”.
Rodari ha in mente questa idea da tantissimi anni, da quando giovane maestro scopre il surrealismo e le sue tecniche nel 1938. In Italia ci sono stati venti anni di fascismo e sta per arrivare una nuova guerra. Che la parola sia l’unico strumento per immaginare tempi nuovi, è una convinzione profonda di tanti, il mondo è opaco, incerto, e anche se l’immaginazione sembra una via di fuga privata, c’è chi decide di coltivarla.
Scrive Rodari: “Io ho fiducia nella capacità della fantasia di esprimere tutti i contenuti. Non credo che la fantasia sia un’evasione, come è stata più volte definita, ma uno strumento della mente, capace di esprimere per intero la personalità o di entrare in gioco con altri strumenti della personalità e formare una personalità più ricca. Non è un’evasione, non è una fuga”.
(continua su la Repubblica)