Esiste un problema di narrazioni innanzitutto. I racconti delle stragi hanno avuto infinitamente meno successo di quelli degli atti di terrorismo “individuali”. E’ un problema che si è posto da subito, al cinema, in tv, nella memorialistica. Un faccia a faccia con la storia recente che ha portato alla costruzione di un modello memorialistico: quello delle “vittime”.
La Tv, dunque, racconta la storia, ma non tutti gli argomenti storici sono ugualmente interessanti per il piccolo schermo: per circa venti anni, fra il 1958 e il 1978, la tv ha trasmesso per lo più programmi dedicati alla seconda guerra mondiale e al fascismo. Nei primi anni Ottanta è stata la figura di Mussolini a invadere il piccolo schermo: un Mussolini senza il fascismo, padre, uomo tradito, caso psichiatrico, come nella celebre intervista a Cesare Musatti nella Serata Mussolini di Beniamino Placido (1983). Poi è stata la storia della shoah a invadere per qualche stagione il piccolo schermo, in questo caso, come eco del dibattito suscitato dal film Shindler’s List (1993) che ha dato vita a un nuovo e inedito interesse per la figura dei testimoni. Periodizzante il 1994, anno della discesa in campo di Berlusconi e dello sdoganamento pubblico degli ex fascisti che, attraverso una invenzione della tradizione di notevole portata, hanno potuto legittimarsi nel racconto televisivo a partire dal noto e assai studiato programmaCombat film (1994) che li vede, per la prima volta, attori protagonisti della storia d’Italia, una storia nella quale il patto antifascista diventa “paradigma” e in quanto tale categoria ermeneutica e non più dato storico reale. Con gli anni Novanta, e l’operazione di riscrittura del passato all’insegna di un compromesso storico delle memorie, si è assistito anche al recupero di un tema fino a quel momento abbastanza poco indagato dal piccolo schermo, ovvero la lotta armata e gli “anni di piombo”.
Il racconto degli anni piombo e la Tv.
“Incompletezza, rimozioni, volute o indotte da incapacità, e soprattutto decisa prevalenza di un punto di vista scarsamente attento all’esperienza delle vittime”. Così, in un saggio del 2009 Emmanuel Betta descrive il punto di vista egemonico nella costruzione della memoria della lotta armata, punto di vista, a suo parere fondato sulle parole de “gli ex militanti della lotta armata nella costruzione della conoscenza e della memoria della violenza politica”: “in un contesto in cui la verità giudiziaria sulle vicende armate si è andata costruendo lentamente attraverso i processi giudiziari e la riflessione storica si è avvicinata solo di recente a questa stagione e a questo fenomeno, l’età del testimone ha attribuito un valore euristico decisivo al racconto di chi c’era, contribuendo così a fare della parola degli ex militanti della lotta armata – espressa in interviste scritte e girate, memorie filmate, documenti, romanzi, racconti, autobiografie – la più rapida e fruibile porta di accesso alla conoscenza a verità fattuale di eventi, radici percorsi politici ed esistenziali della lotta armata”. Per questo motivo, per il prevalere del punto di vista dei “colpevoli”, viene istituita la giornata del Ricordo, il 9 maggio del 2008, in quella occasione, è ancora Betta a ricordarlo, il presidente Napolitano chiede ai mass media di “dar voce non a chi ha scatenato la violenza terroristica, ma a chi l’ha subita” promuovendo i quest’ottica la pubblicazione di un volume prosopografico dedicato alle vittime del terrorismo italiano”. La memorialistica recepisce subito questa indicazione e escono in rapida successione numerosi volumi incentrati sul racconto delle conseguenze della lotta armata da parte dei parenti, figli per lo più, di chi vi ha perso la vita. E così alla stagione delle “memorie armate” si sostituisce quella che potremmo chiamare la voce disarmata delle vittime. Disarmata non solo da un punto di vista materiale, per cui chi è stato ucciso lo è stato all’interno di una guerra impari, combattuta in modo unilaterale dalle formazioni terroristiche, ma anche da un punto di vista interpretativo: se infatti l’ideologia sorregge le memorie degli ex brigatisti, niente può spiegare, in una dimensione privata, perché un padre, un marito, un fratello abbiano perso la vita. Inizia così, anche in televisione una stagione di programmi sugli anni di piombo nei quali a prevalere è lo sguardo “disarmato” che diventa disarmante quando alla voce del testimone non si affianca nessun tentativo di racconto storico, e la retorica della memoria si sostituisce al racconto della storia. In questo senso mi sembra legittimo adottare come momento ad quem quel 2004, anno nel quale la presidenza Ciampi attribuisce una medaglia ai parenti delle vittime del “terrorismo” fatto, questo, letto come “un riconoscimento pubblico a un lutto privato e alla sua integrazione piena nella narrazione di quegli anni, capace, secondo le parole dello stesso calabresi riferite implicitamente a tutti i parenti, di voltare una pagina nelle testa di mia madre, dei miei fratelli, di dare serenità, leggerezza, emozione”. Dal 2004 a oggi dunque sono un centinaio i programmi che affrontano gli “anni di piombo”in questa prospettiva: nella maggior parte dei casi programmi di tipo giornalistico, a volte puntate de La storia siamo noi o di Le storie di Corrado Augias, o gli approfondimenti del Tg1 di Roberto Olla. Ovviamente gli ascolti di programmi di questo tipo non sono mai altissimi, ma certo si aggirano intorno a una media di mezzo milione di persone, laddove un best seller come Il prigioniero di Anna Laura Braghetti (1998) non raggiungerà le 100.000. Facciamo alcuni esempi: il 15 febbraio 2005 Bruno Vespa realizza uno speciale di «Porta a Porta» sulle vittime del rogo di Primavalle, in studio Carlo Giovanardi, Gianni Alemanno, Cesare Salvi, Marco Boato: evidente l’intenzione politica nella rilettura della vicenda, supportata dalla presenza di Boato, che rivendica la sostanziale uguaglianza di tutti di fronte alla morte, tema che sarà ripreso da Luca Telese con il libroCuori neri (2006), sorta di momento di passaggio pubblico paragonabile al 1994 per l’antifascismo.
Il 4 maggio del 2007 Gianni Riotta dedica un approfondimento nel suo programma «TV7» al libro di Mario Calabresi, intervista Giuliano Amato, questo il taglio dei temi affrontati in studio «Riotta intervista Amato sul libro di Mario Calabresi ” Spingendo la notte più in là ” che ripercorre le vicende legate dell’omicidio del padre, il commissario Luigi Calabresi, avvenuto 17 maggio 1972 per mano di terroristi di Lotta Continua, e che accusa la società contemporanea di aver dimenticato le vittime del terrorismo, loro famigliari e di continuare a vedere i terroristi come una sorta di eroi romantici in negativo; sul terrorismo in genere e suo giudizio in merito; sulle imminenti elezioni presidenziali francesi e tradizionale difficoltà della sinistra di vincerle».
Il 12 aprile 2008 va in onda il documentario Anni spietati. La sinossi del progetto è questa: «Sigla con credits. Servizio ” anni spietati ” di Stefano Masi. Su sottofondo musicale commento speaker sugli anni Settanta e su Torino, palcoscenico italiano degli anni di piombo; su Stefano Caselli, figlio del giudice Giancarlo e autore del documentario ” anni spietati “, nel quale ricostruisce il clima del periodo attraverso le testimonianze delle vittime del terrorismo e della rivisitazione dei luoghi. Intervista in merito a Caselli che parla in una piazza di Torino mentre scorrono frammenti del documentario da lui realizzato con immagini di agguati, vittime e parenti che piangono durante funerali; a Igor Mendola, regista del documentario ” anni spietati ” sulle testimonianze che si possono ancor oggi ritrovare sui muri degli edifici di Torino; Davide Valentini, autore del documentario “anni spietati” sulla decisione di raccontare il periodo attraverso le vittime del terrorismo. Sigla finale». Il 23 gennaio 2008 è Giovanni Floris a dedicare una puntata speciale di «Ballarò» alla memoria delle vittime, ecco la sinossi «Il conduttore Giovanni Floris continua ad intervistare Mario Calabresi, giornalista; Benedetta Tobagi, figlia del giornalista Walter; Marco Alessandrini, figlio di Emilio, sugli anni di piombo e sulle vittime del terrorismo; presenta ed intervista Luisa Todini, imprenditrice, sul suo ricordo rispetto gli anni Settanta; sulla sua famiglia di imprenditori, trasferitasi a Roma dall’Umbria per fondare una piccola attività diventata azienda di successo; sulla paura che la sua famiglia provava per la situazione politica e sociale del paese. Applausi».
Infine, come vera e propria sintesi di questo modello narrativo il 31 ottobre del 2010, va in ondaVittime diretto da Giovanna Gagliardo, prodotto dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali Direzione Cinema, in collaborazione con Rai Cinema e realizzato su iniziativa dell’ Aiviter (Associazione italiana vittime del terrorismo). Ecco cosa dice il comunicato così come riportato dal catalogo della Rai: «L’ idea di partenza e’ raccontare il punto di vista di chi gli anni di piombo li aveva subiti, di chi e’ stato toccato da questa tragedia, dare voce alle vittime che spesso, per loro scelta, scelgono di non parlare. Si è cercato di privilegiare le città piu’ colpite dal terrorismo: Milano, Genova, Torino, cercando di mettere in evidenza i casi meno noti: le forze di polizia, le guardie carcerarie, i Carabinieri. Un lungo viaggio nel tempo per restituire alla memoria collettiva il punto di vista di tutte quelle vittime che hanno portato sulle spalle il peso delle scelte violente fatte da altri: l’agente di polizia ferroviaria Emanuele Petri (Cortona 3 Marzo 2003) ricordato dalla moglie Alma Broccolini; il giuslavorista Marco Biagi (Bologna 19 Marzo 2002 ) ricordato dalla moglie Marina Orlandi; il tenente colonnello dei Carabinieri Emanuele Tuttobene ( Genova 25 Gennaio 1980 ) ricordato dal figlio Mario; il direttore sanitario del Policlinico di Milano Luigi Marangoni ( Milano 17 Febbraio 1981 ) ricordato dalla moglie Anna Bertele’; la guardia giurata Salvatore Lanza ( Torino 15 Dicembre 1978 ) ricordato dalla sorella Caterina;il funzionario d’ industria Carlo Ghigleno ( 21 Settembre 1979 ) ricordato dai figli Giorgio e Alberto; il magistrato Guido Galli ( Milano 19 Marzo 1980 ) ricordato dalla figlia Alessandra; l’ agente di commercio Graziano Giralucci ( Padova 17 Giugno 1974 ) ricordato dalla figlia Silvia; l’ imprenditore Renato Briano ( Milano 12 Novembre 198o ) ricordato dal figlio Andrea; il vice questore Sergio Bazzega ( Milano 15 Dicembre 1976 ) ricordato dal figlio Giorgio; il giornalista Walter Tobagi ( Milano 28 Maggio 1980 ) ricordato dalla figlia Benedetta; il commissario di Polizia Luigi Calabresi ( 17 Maggio 1972 ) ricordato dal figlio Mario. Inoltre l’ex dirigente dell’Alfasud Vittorio Flick racconta il suo ferimento alle gambe avvenuto a Napoli il 27 Giugno 1972, l’ex dipendente della Banca nazionale dell’Agricoltura Roberto Prino ricorda la strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969; la testimone Rosalia Serravalli ricorda l’attentato alla stazione di Bologna (2 Agosto 1980 ); Manlio Milani ricorda la morte della moglie coinvolta nell’ attentato in Piazza della Loggia ( Milano 28 Maggio 1974 ) Il documentario ‘ arricchito dal supporto visivo, in bn, di notiziari e quotidiani del tempo».
Vittime è il modello perfetto di una narrazione televisiva che nel giro di pochi anni ha trasformato singole storie, o storie molto diverse fra di loro, in un’unica grande narrazione che volendo spiegare tutto, finisce per non spiegare niente. Non ci sono storici, neanche fra i consulenti del programma, e la giornalista conduce un viaggio emotivo che anziché rendere giustizia alle vittime, finisce per appiattire le particolarità in una notte in cui tutte le vacche sono nere: fra il 1969 e il 1980 (con colpi di coda assurdi e orribili degli anni novanta) l’Italia è stata in preda di una furia omicida e di una follia collettiva che ha oscurato menti di destra e di sinistra, tutte ugualmente colpevoli, in quell’affastellarsi di nomi e numeri che trasformano gli anni Settanta in un decennio incomprensibile se non attraverso la lente del dolore. Sarebbe interessante studiare nel dettaglio le strategie retoriche di questa narrazione facendo un paragone con quelle attuate negli anni Novanta relativamente alla depoliticizzazione e destoricizzazione del racconto della shoah, i punti in contatto, infatti, sono moltissimi. Certo è che affiancare in uno stesso percorso narrativo e storiografico la strage di Piazza della Loggia, e l’omicidio di Carlo Ghiglieno o di Luigi Calabresi contribuisce a quella confusione delle audiences, soprattutto le più giovani che finiscono per convincersi che la bomba a Piazza Fontana l’hanno messa le Brigate rosse: «Tra il1969 e la fine degli anni 80, l’ Italia è stata insanguinata da 12770 episodi di violenza terroristica, che hanno lasciato a terra 192 morti, 47oo feriti e 1500 invalidi permanenti. Dalle bombe di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, a quelle della stazione di Bologna il 2 agosto 1980, il nostro paese è stato devastato da 8 stragi, con 150 morti, 690 feriti, 400 invalidi permanenti. «Una vera guerra in tempo di pace, con persone comuni trasformate in bersagli», commenta la regista Giovanna Gagliardo che per raccontare quell’orrore, per far sapere ai giovani ha realizzato “Vittime”, film prodotto dalla Rai e dal Ministero dei beni culturali in collaborazione con Aiviter, associazione delle vittime. Mille di questi dvd verranno messi a disposizione dei presidi per proiettarli nelle scuole» («L’espresso», 18 febbraio 2010).
Paradigmi della memoria. Da un punto di vista epistemologico la scelta di orientare sulle vittime il discorso pubblico sugli anni di piombo nel loro complesso ricorda in modo esplicito il meccanismo di memorializzazione e astoricizzazione operato dai media nei confronti della shoah. L’era del testimone, con il suo portato emotivo dirompente è stata tradotta in questo caso in un’era della vittima nella quale ogni biografia perde di senso.Ma se il ricordo e il racconto un senso ce l’hanno questo consiste non nell’affogare la tragedia nelle lacrime ma nel cercare di capire, nel guardare da vicino i volti, i luoghi, le voci, le parole. In ogni funerale di quell’aspra stagione, per riprendere il bel titolo del prezioso libro di Mauro Favale e Tommaso De Lorenzis, ci sono dei bambini: piazza della Loggia, i funerali di Alessandrini, in ognuno di questi funerali ci sono dei bambini. Hanno un nome e un cognome, sono figli di solito, pezzi di storia che merita un racconto esatto, non un generico e pietoso ricordo in quanto vittime. Che il giorno della memoria serve a ragionare anche di questo.
Qui il programma dell’incontro alla Cineteca nazionale sulla memoria visiva della strage di Piazza della Loggia (28 maggio 1974) di cui ricorre quest’anno il quarantennale.