
I sette fratelli Cervi: Gelindo (classe 1901), Antenore (1906), Aldo (1909), Ferdinando (1911), Agostino (1916), Ovidio (1918), Ettore (1921). Tutti nati a Campegine (Reggio Emilia), tutti fucilati il 28 dicembre 1943 nel poligono di tiro di Reggio Emilia.
’8 maggio 1955 a Reggio Emilia, al Teatro municipale, viene convocata una grande festa in occasione degli 80 anni di Papà Alcide.Cervi.
Una grande folla di bambini e di adulti si riunisce per celebrare i 10 anni dalla Liberazione e il compleanno di colui che a tutti gli effetti incarna il sacrificio della patria liberata, padre della migliore gioventù finita sotto terra.
E’ ancora vivissimo il ricordo di quanto è accaduto solo 22 anni prima.
Per gli antifascisti, per tutti i democratici, quella del 28 dicembre 1943 è una memoria presente.
Viva e presente.
In quella occasione si chiede a Gianni Rodari che dirige la rivista Il pioniere di scrivere una poesia civile.
Rodari ha tradotto Bertilt Brecht, lo ama moltissimo.
E l’eco del poeta tedesco è fortissima in questo poema che intitola
Compagni Fratelli Cervi
Ascoltate la prima strofa. Si introduce il paesaggio, l’Emilia, d’estate, il giorno che Aldo il figlio maggiore ha comprato un trattore simbolo del lavoro contadino che rifiuta di spezzarsi soltanto la schiena per il padrone e nell’immagine del trattore c’è per Rodari la storia delle officine reggiane dove nel 1951 durante un’occupazione contro la direzione della fabbrica gli operai hanno progettano un trattore, l’R 60
Bandiera di pace e di liberta’
Trattore passa e va
come recita una canzone scritta per l’occasione da Ermanno Rivetti
E allora torniamo a Aldo che si porta a casa questo trattore puledro di ferro, ma è il 1939, e in Italia c’è il fascismo che è gretto e strapaesano e Aldo allora insieme al trattore porta un oggetto strano, che scintilla al sole e fa accorrere i bambini a vederlo: e lo ha raccontato Italo Calvino su Patria Indipendente due anni prima nel 1953 di questo oggetto singolare nella casa di contadini
Un mappamondo
A papà Cervi
con ammirazione
con affetto
I.
Bella Emilia, splendeva
la polvere delle tue strade
che si aprono il passo fino al cuore
verde della pianura –
ora immobili al sole, ora smarrite
nel labirinto delle vigne, dove
il campanello d’una bicicletta
sembra squillare in cielo con le allodole
o sugli olmi affollati di cicale –
come splendeva, Emilia, la tua pace
il giorno che Aldo Cervi
guidò il trattore nuovo verso casa
e bastava la mano sul volante
a domare il puledro di ferro
dal muso fiammante
e il cuore prestava le sue parole
alla cieca canzone del motore:
Trattore, passa e va!
Le case si affacciavano
in cima alle cavedagne,
mandavano filari,
mandavano cani festosi e bambini
dalle voci piú acute delle frecce
incontro al suo ruggito,
e un ragazzo che a scuola
le vecchie favole aveva sentito
rise: Guardate Atlante,
il gigante che regge il mondo in collo!
Perché sulla macchina alto in trono
viaggiava un mappamondo,
solenne goffo re da biblioteca
esiliato fra i campi,
e ad ogni scossa la sua rotazione
attorno ai poli mostrava
i continenti di sette colori
e gli oceani celesti, navigati
da flotte di arcipelaghi.
L’Asia, l’Europa, l’Africa,
l’America…
alla spinta d’un dito
giravano in un vortice di trottola,
e il cane impazzito
abbaiava alla giostra,
e i bimbi gli volevano mostrare
l’Italia che bagna il piede nel mare
e lí è casa nostra,
noi siamo lí sotto l’unghia.
Balenò sulla sfera il riflesso di fiamma del trattore,
si bagnarono acque e terre
in un bagliore d’incendio e di sangue.
I Mercanti di liquore e Marco Paolini hanno avuto la bellissima idea di mettere insieme a questo poema una filastrocca che Rodari ha pubblicato nel Libro degli errori (Einaudi, 1960):
C’erano sette fratelli che andavano per il mondo: sei erano sempre allegri, il settimo sempre giocondo. Sei andavano a piedi perché non avevano fretta, il settimo invece perché non aveva la bicicletta….
La leggenda dirà dell’ultima battaglia: dove cantò la cicala ora abbaia la mitraglia. Una muta di cani la notte ha circondata, il fumo lecca i muri della casa incendiata. Ma quando li portarono alla crudele morte, non eri tu, fucile, il più fermo, il più forte. C’erano sette fratelli che andavano per il mondo: sei erano sempre allegri, il settimo sempre giocondo. Sei andavano a piedi perché non avevano fretta, il settimo invece perché non aveva la bicicletta . Nella nebbia dell’alba si nascosero i cani, e chiusero gli occhi per non vedersi le mani. Negli occhi dei sette Cervi l’aurora si specchiò, dagli occhi fucilati il sole si levò. Vecchio, tenero padre, olmo dai sette rami, nella vuota prigione per nome ancora li chiami, C’erano sette fratelli che andavano per il mondo: sei erano sempre allegri, il settimo sempre giocondo. Sei andavano a piedi perché non avevano fretta, il settimo invece perché non aveva la bicicletta . E a notte fra le sbarre fin dove soffia il vento intatte vedi splendere sette stelle d’argento. Sette stelle dell’Orsa come sette sorelle. I cani non potranno fucilare le stelle. Sette stelle dell’Orsa come sette sorelle. I cani non potranno fucilare le stelle.
grazie
Ci vediamo a Mantova il 7 settembre al Festivallettueratura